“Per un attimo gli parve che lo sconosciuto avesse ripreso a respirare. Si scosse. Non era un evento che una mente razionale potesse contemplare. Suo padre era sicuramente morto. [&230;] Inequivocabilmente morto.”
Quello di Senza il mio nome, il nuovo romanzo di Gianfranco Onatzirò Obinu (edito da Porto Seguro) è un avvio che ricorda in qualche modo quello dello Straniero di Albert Camus.
Chi è il padre che ora giace immobile nel feretro? Un uomo che conosce da quasi cinquant’anni, con frequentazioni altalenanti, ma che ora, in quella bara di legno, consumato dal suo terribile male, gli pare uno sconosciuto per il quale non riesce a provare quei sentimenti che, assieme alle litanie, ai singhiozzi, alle pacche sulle spalle curve e ai mesti abbracci, tanto si addicono a un lutto.
Con la sua morte, il padre, fino al momento del decesso un uomo poco decifrabile per il figlio, comincerà a far sentire la sua “presenza” nella vita dell’anonimo protagonista del romanzo. Nei ricordi, fino a quel giorno caliginosi, nelle azioni del presente, nelle prospettive per il futuro. La ricerca ha inizio: chi era stato in realtà suo padre? E chi sarà, adesso, lui, il protagonista del libro?
Tramite il suo personaggio, Gianfranco Onatzirò Obinu racconta la Sardegna della seconda metà del Novecento, di estati lente e autentiche, di tradizione che va a braccetto con la superstizione, di ragazzi che crescono tra il verde e la polvere, di ideali intoccabili, di memorie di un tempo non più afferrabile in cui “lo sconosciuto non era uno sconosciuto”, bensì una “placida baia dove rifugiarsi”.
Una storia che, tra realtà e fantasia, porterà il protagonista di Senza il mio nome ad aprirsi, capitolo dopo capitolo, fino a svelare tutto il suo io più nascosto nelle pagine finali, quelle in cui vengono palesate le cose che non si dicono, quei segreti che possono rimanere tali per una vita intera, ma che a prestarci la dovuta attenzione, nelle loro trasparenze, si possono intravedere. Ed è in questa maniera che forse nasce l’amore, quello “che move il sole e l’altre stelle”, come diceva il Poeta, quello in cui il famigerato “per sempre” non è pronunciato dalla voce flautata e burocrate del ministro di Dio, ma proviene dal profondo dell’anima, quando si comprende che si è diventati “un corpo unico che si muove al ritmo dell’universo”.
Quella di Gianfranco Onatzirò Obinu è una narrazione frammentata, con una ironia appena accennata e mai stantia. Nel suo romanzo il destino, intrecciandosi con l’amore, giocherà un ruolo fondamentale.
“Ma adesso era innamorato. Moriva da innamorato, e questo sì che era un bel modo per chiudere il sipario.”