Due fiocchi di neve uguali|Laura Calosso
- 3 Settembre 2019
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Cosa c’è di uguale, veramente uguale in natura o nella vita? Nulla. Nemmeno i gemelli omozigoti lo sono. L’unicità di ogni cosa, di ogni momento, di ogni atto, è ineccepibile ed impreziosisce quelle che sono le molte e diverse fasi dell’esistenza di ogni uomo o donna.
L’essenziale (e il difficile al contempo) è accettarne le limitazioni, le delusioni e le diverse prove a cui la vita, attraverso queste differenze, ci mette alla prova.
Nessun individuo può sostituirsi all’altro per sfuggire queste prove, che iniziano da subito, quando l’età adulta inizia a definire le proprie basi in quelli che sono i primi atti d’amore, i primi insuccessi, le prime difficoltà, le piccole insicurezze. In questo che è l’atto necessario univoco e il solo che porta alla maturità e all’accettazione dei propri limiti e che segna anche l’avvio del lungo sentiero della vita adulta.
Difficile da affrontare sempre, per ogni adolescente che si affaccia all’età adulta, in ogni generazione e in ogni tempo. Ma forse oggi, più di ieri e più che in passato, ai giovani, ai nostri figli oltre al passaggio “tradizionale” e di rito il tempo contemporaneo chiede un atto ulteriore: quasi un atto di fede su ciò che potrà essere il domani, il futuro, l’avvenire. Chiede un “atto di fiducia” alla cieca vissuto come violenza delicata sul loro sentire e sul loro essere ancora poco più che bambini e poco meno di adulti.
E per molti nell'immediato appare facile e risolutivo il fuggire, il rifugiarsi in se stessi, in un mondo dove tutto è prefetto e nulla è difficile: un mondo parallelo dove solo il contatto rado con il mezzo informatico è il “tocco” protetto con il mondo esterno.
Un comportamento che con sempre maggiore ingerenza è assunto dai giovani ragazzi di oggi e che li definisce “Hikikomori” ovvero ragazzi “ritirati” dal mondo e che delusi dalla società nella perfetta e ovattata solitudine ritrovano (solo in apparenza) se stessi.
Un fenomeno in ampia diffusione che Laura Calosso con il suo nuovo libro &220;Due fiocchi di neve uguali&221; edito da SEM 2019 propone in chiave di “romanzo” diversamente dai molti testi scientifico-medici che circondano questo aspetto sociale contemporaneo non dando soluzione ma proponendo a un più vasto canale quello che è un disagio che non è solo delle nuove generazioni e dei rispettivi genitori, ma di tutti.
Carlo ha deciso di chiudersi nella sua camera da letto, di “ritirarsi dal mondo”: non esce e nemmeno per lavarsi e i pasti gli vengono passati da una piccola feritoia a malapena usa il PC per sapere cosa ci sia là fuori. Insomma, con il mondo non vuole avere nulla a che fare.
Margherita si è appena diplomata con una votazione molto alta e sta preparando l’esame di ammissione a medicina. La situazione economica della sua famiglia non è delle migliori ma vuole e sa di avere le possibilità per poter diventare un giorno medico, neurologo magari per capire cosa succede nella testa delle persone, anche in quella di Carlo che pure se non vuole più avere contatti con il mondo per lei sarà sempre centrale nel suo cuore e nei suoi pensieri.
Anche lei ha paura di quello che c’è la fuori, del mondo: ma diversamente da Carlo ci vive scegliendo però di chiudersi sempre più in se stessa facendo diventare i suoi timori muri di gomma evidenti di un isolamento dal mondo.
Margherita tentenna, ma poi si convince. Sarà la scelta d’impeto. Un pertugio dal suo isolamento verso l’esterno, verso il teatro mondo con le sue paure, i suoi ignoti, le molte declinazioni con cui rapportarsi.
Incontrerà ragazzi e ragazze come lei insoluti e insolubili nei loro comportamenti e nel loro rapportarsi alla vita e nel loro scegliere vie di fuga diverse. Assisterà al rapporto di adulti/genitori in cui riconoscerà l’evoluzione di quelle sue paure, di quei suoi dubbi e timori ponendola in continuo parallelismo con Carlo, lei e Gian Gabriele.
Il vivere, l’esistere e il sopravvivere le parranno facce di una stessa vita, possibile, a cui si possono dare le più diversificate risposte. Persino quella definitiva che declina verso l'abbandono della sconfitta.
Sarà questa la scelta definitiva di Gian Gabriele, che lascerà Margherita, suo malgrado, in un vivere sospeso (il coma). “Un sospeso” che sa di dolore non più invisibile o fluido, ma vero, tangibile, reale, che scuoterà Carlo (forse), facendolo uscire dal silenzio del suo ritiro.
Il testo di Laura Calosso non propone una lettura “semplice”, non è il romanzo della buona notte, ma è certamente una attenta, minuziosa e pedissequa “storia” di un evidente problema “sociale” che minaccia, e per molti aspetti affligge, alle volte sconfiggendoli, i giovani attuali.
L’acuta scelta dell’autrice della scrittura “a romanzo” e non a reportage, dà alla storia di Margherita e Carlo i due fiocchi/protagonisti, lo spessore del vero e del toccabile, soffocando il rischio di una semplicistica cronistoria di sintomi, conseguenze, risoluzioni tali da rivelarsi banali, ovvie e conseguenti per i lettori che hanno (ma anche non hanno) “figli” in età da Hikikomori.
Con un linguaggio e un narrare delicato, quasi timido ma incisivo, chiaro e rispettoso del tema che spesso richiama con metafore la natura che sola rigenera la vita, la Calosso ci aiuta ad addentrarci nelle mille diverse declinazioni di questa che è una vera e propria patologia.
Nei capitoli didascalici, si susseguono gli atti e le caratteristiche di questa fuga dalla realtà verso un mondo non reale ma solo apparentemente governabile (ad esempio dei social media) ed osservabile, di cui si può non rimanerne vittima, alla stregua di una rappresentazione di teatro.
La fuga (come quella di Carlo), il chiudere tutto fuori da sé (come nel caso di Margherita), il subire senza possibile efficace interazione (come per Gian Gabriele) si condensano in vere, proprie, uniche soluzioni verso quell’ignoto che è la vita. Per questi giovani l’unico modo per affrontare e relazionarsi a un mondo, che non dà loro punti di riferimento o luci sicure verso cui dirigersi, capaci di dare un senso al loro esistere, è l’isolazionismo fisico, reale e palpabile.
Gli adulti che li circondano, in fin dei conti, sono il risultato di quelle paure da cui fuggono e che offrono non modelli e non valori che non possono essere perseguiti.
Le due realtà a confronto (Hikikomori – Adulti “diversamente” perdenti) fanno percepire la delicatezza e la fragilità che è insita nei primi, simile a quelle dei cristalli di neve.
Poiché
“Ogni cristallo nasce e si sviluppa attraversando condizioni di pressione, umidità e temperatura diverse ogni volta. La storia di ciascun cristallo non potrà mai essere uguale a un’altra. E questa è una forma di solitudine.”
Una solitudine che sceglie la fuga alla lotta, che predilige il nascondersi all’affrontare e riconoscere realmente il proprio sé, tracciando quella consapevolezza che sola, forse, può aiutare all’accettazione propria e del mondo.
Attraverso la consapevolezza, però, appare possibile delimitare conoscere e tarare limiti e possibilità della nostra unicità: arma a doppio taglio, ma in qualche modo efficace per difenderci e non soccombere inermi.
Così delineata si rivelerà, forse, efficace àncora e faro contro la paura dell’ignoto, dell’incerto e di noi stessi smorzando il sospetto verso una realtà capace, troppo spesso, di trasformare la vita in un lungo addio fatto di fallimenti e sofferenze.
Forse la vera risposta a questa innegabile incognita dei nostri tempi sta in noi adulti: nei modelli che proponiamo, nel nostro non accettare le sconfitte e i risultati non raggiunti facendole “pesare” sui nostri giovani figli.
La nuova generazione non siamo noi “solo più nuovi”: il nostro tempo è passato e come lo abbiamo utilizzato (nel bene o nel male) sta a noi valutarlo, subirlo, accettarlo.
Ai nostri giovani spetta solo il compito di vivere al meglio quello che la vita ha riservato loro; a noi adulti il compito di guidarli con valori reali e tangibili che fanno dell’unicità di ognuno un pregio da preservare e valorizzare, sempre.