Chi è Pietro? O forse dovremmo dire cos’è?
Pietro è un giovane uomo che si è sempre sentito un animale: da bambino, quando si ritrovava a dormire coi genitori in una baracca per terremotati, più adatta a ospitare galline e maiali anziché esseri umani, e a subire le angherie della nonna paterna, apostrofata più volte come una “vecchia strega”, e da adulto, divenuto schivo a causa di tutti i soprusi subiti da bambino.
“Da dove sei uscito, brutto schifoso, non hai rispetto di nulla, non appartieni alla nostra famiglia e ti farò vedere io cosa ti combinerò!”
Un campagnolo che non viene considerato una persona, emarginato a scuola e nella società con atteggiamenti denigranti che fanno di Pietro un ragazzo schiavo della paura. A causa di questo passato il protagonista è diventato un animale, si è convinto di essere ciò, un’anima che agisce per se stessa, per semplice istinto di sopravvivenza – come le bestie, appunto –, insoddisfatta e intrappolata nel mondo di oggi, in un modo dove è esclusivamente l’apparenza a contare.
Pietro è però un ragazzo che vuole sperare in un futuro migliore, nonostante il trascorso buio, che vuole liberarsi dalle grinfie della nonna, del padre, dello zio, per vivere i suoi sogni, per essere un uomo pensante e non vivere di istinti, incapace di ragionare e succube del volere altrui.
“Chi era l’animale? Ero sempre io oppure chi mi stava intorno e decideva anche della mia vita senza aver fiducia in me, senza darmi l’occasione di realizzare la mia passione, il mio sogno.”
Chi è l’animale? Io o loro? Questa la domanda ricorrente del protagonista, destinata a trovare soluzione o a scivolare nell’oblio?
Rammaricandomi per il lavoro di editing non troppo accurato, sostengo che L’animale di Joseph Santella sia un romanzo amaro e ben orchestrato che però, come una piccola bestia, sembra sempre sul punto di volgere a uno sviluppo che, alla fine, non arriva se non in maniera vagamente artificiosa.