Paolo di Paolo| Lontano dagli occhi
- 2 Febbraio 2020
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Lontano dagli occhi,
Lontano dal cuore,
E tu sei lontana,
Lontana da me.
Cantava Sergio Endrigo. Evocando un legame che comunque anche se lontano, passato o solo in apparenza dimenticato, permane. Fa a parte di noi.
Molti, però, sono i “tipi di legami” d’amore e d’amicizia, ma certamente uno ci accomuna rimanendo innegabilmente invariato e invariabile nel tempo.
Immutabile per intensità e per legame. Unico “nel suo genere”: quello tra genitori figli.
Perché genitori lo si divine per scelta o per caso, ma figli lo si è e lo si rimane per sempre.
È un’unione indissolubile, vissuta con più o meno intensità, con paura ed incertezza in una sorta di sospensione biunivoca, ma inevitabilmente, per emozione o per dovere, e innegabilmente puntello di vita.
Ma quando ci accorgiamo che tutto questo potremmo diventarlo noi per una nuova vita, tutto cambia.
I timori si dilato. La fuga sembra essere l’unico e il migliore dei modi per nasconderci agli occhi di quel cuore incerto, timoroso e decisamente non ancora preparato.
Di quella linea sospesa, di quel momento di vita, di quel dialogo tra il nostro cuore e il nostro sentire Paolo di Paolo si fa narratore nel suo romanzo edito da Feltrinelli (2019) Lontano dagli occhi.
1983 (anno di nascita dell’autore) Roma. I giallo rossi hanno vinto lo scudetto. Sono i giorni della scomparsa una giovane ragazza di Manuela Orlandi e Michael Jackson (quasi a profezia) canta Billie Jean.
Tre donne sono quasi al termine della loro gravidanza ed in questa città vagano cercando qualcosa, qualcuno o forse solo un motivo vero per accettare il bambino che vive in loro e che da lì a breve potranno tenere tra le braccia, oppure di dare in affido.
Luciana, Valentina Cecilia hanno età diverse e tre diverse storie che lo hanno portate ad essere madri in attesa di investitura ma le medesime paure su ste stesse e su quello che potrebbe o avrebbe potuto essere con potenziali futuri padri.
Luciana, la più matura è una giornalista. Ha incontrato l’Irlandese dopo una storia “tradizionale ed opaca” con Ettore. Le è subito piaciuto a pelle. Dopo un concerto e due birre forse di troppo lo ha fatto, nel modo più travolgente e passionale. Ora lo cerca, ovunque a Roma con la pancia che le pesa, una madre che le ricorda l’errore fatto, ma con la certezza in cuor suo (anche se dura da accettare) che non lo troverà più nemmeno per dirgli che diverrà padre.
Valentina ancora studia. Lo ha fatto con Ermes. La loro prima volta. Con la convinzione che tanto non può accadere il tutto la prima volta: ed invece. Ermes lo ha saputo. È spaesato non sa che fare. Non pensa a sé stesso come a un padre. Festeggia lo scudetto della Roma e in testa gli riecheggiano solo i motorini che sfrecciano nelle strade deserte e le frasi del padre all’annuncio del fattaccio “te sei rovinato, fio mio”. Valentina non sopporta più le parole della madre che le hanno già definito il futuro: darà il bambino in adozione e cambierà scuola. Si sente soffocare e scappa.
Vaga alla ricerca di qualcosa, perché sa (in cuor suo) che qualsiasi sarà la sua decisione il suo vivere cambierà, non sarà più spensierato.
Valentina ha paura ed è stanca. Camminando ascolta ininterrottamente nel walkman Billie Jean che, assieme a una prostituta che incontra per caso, sembrano i soli ad arrivare davvero a parlare al suo cuore.
Cecilia e il cane Giobbe sono una famiglia. Cecilia lavora con Gaetano in un ristoro più simile a una tavola calda. Hanno fatto l’amore e solo dopo, molto dopo la donna ha rivelato al giovane la sua gravidanza oramai avanzata. Gaetano (che nemmeno si era accorto dello stato della donna lavorandoci assieme) potrebbe anche pensare a “fare il padre” ma è una responsabilità di cui “davvero” vuole farsi carico?
A Cecilia poco importa, però. Lei ha ed avrà Giobbe, un padre più che un cane per lei, ma anche lui si perderà nelle strade romane e forse non tornerà.
La nascita arriva per le tre donne lesta e le trova madri de facto e gli uomini padri, forse mai.
Le sei anime rimarranno sospese, forse definitivamente nella ricerca di se stesse con una sola certezza: che una nuova vita attende la loro decisione in un orizzonte dai contorni soffusi.
Con un finale aperto, in bilico tra lo svestire il ruolo del figlio e vestire quello del genitore Paolo di Paolo amplia, ricorda e richiama in chiave aggiornata il dialogo interiore di “Lettera a un Bambini mai nato” di Oriana Fallaci seguendo la linearità narrativa già iniziata con “Raccontami la notte in cui sono nato”.
L’obiettivo è chiaro: cercare di comprendere il sempre duplice e complesso dialogo tra genitori e figli.
Che è diverso da mamma a figlio e da papà a figlio, ma che si rivela sempre e comunque, anche se leggero, labile, flessibile non previsto o non voluto, indissolubile e che mai si spezza.
Con stile lucido, sintassi fluente, ed un “raccontare a immagini e sensazioni” l’autore guida il lettore, e un po’ anche se stesso, in questo labirinto fatto di incertezze paure, dubbi e necessità di punti fermi su cui far modulare nuove responsabilità in una necessaria accettazione di un “diverso” nuovo, di un “diverso” essere se stessi.
Con sei personaggi divisi equamente per genere e speculari l’uno all’altra si cercano di riannodare fili epocali di sentire che differenziano uomo e donna nel diventare genitori. Una diversità psicologica a temporale per l’uomo; fisica, immediata e mentale per la donna.
Ma l’angoscia e l’ostinatezza di trovare un perché alle paure, una soluzione al senso di inadeguatezza, al rimpianto di perdere qualcosa che poteva essere, non esiste.
Una tale ricerca non fa che celare il vero significato che è nascosto dietro a ogni figlio, a ogni vita che nuova si affaccia al mondo.
Quello di essere una opportunità. Un compito che ci viene affidato.
Non migliore o peggiore di quello che avevamo scelto, solo diverso e con un focus ben preciso: dare semplicemente amore e di averne indietro.
Un amore reciproco, senza formule o frasi.
Un Amore che E’ e lo sarà sempre. Anche quando nel vivere si alterneranno momenti belli ai difficili, perdite alle sconfitte, allontanamenti agli abbandoni necessari o definiti.
In quell’atto di coraggio di noi figli divenuti genitori, scorgeremmo il crescere di nuovi uomini e donne capaci di prendere in mano un futuro di rinnovate possibilità, scelte e sogni rivelando, così a noi il vero significato che ha in sé e dà a noi la vita.