Un uomo rovinato, senza via d’uscita, con un presente terribile, indebitato fino al collo ché uno si chiede com’è che non sia ancora ricorso al suicidio. È l’ingegnere Aurelio Mazza, ex imprenditore nel campo dei rifiuti, il protagonista di Tra le tue sgrinfie, l’ultimo romanzo di Giuseppe Benassi pubblicato da Manni.
Ad ascoltare la tremenda storia famigliare e professionale del Mazza è l’avvocato Borrani, suo vecchio compagno di scuola, che, sotto la promessa di non fare il suo nome e di non metterlo nei guai, gli indicherà una possibile, per quanto flebile, soluzione. Lo indirizzerà da zia Carmela, “una vecchia checca” in vestaglia color porpora, metà usurario, metà artista, che con l’aria di chi ne ha viste e risolte tante propone un rimedio all’imprenditore ormai prossimo alla canna del gas; una strada astrusa e misteriosa.
Cosa fare? Fidarsi o no di zia Carmela? Rassegnarsi alla morte o rischiare affidando le ultime fiches della propria vita alle sgrinfie di quell’essere ambiguo, di quell’artista metafisico?
Ne esce fuori un romanzo che si consuma tutto d’un fiato, in cui un capitolo, come nel proverbio con protagoniste le ciliegie, tira l’altro. In Tra le tue sgrinfie si incontra una scrittura pungente, agile e schietta, specie nella prima parte del volume, che va a intrecciarsi alla buona capacità descrittiva dell’autore, dai personaggi ai luoghi della Toscana, oltre i paesaggi da cartolina della Maremma o della Val d’Orcia. I porti maleodoranti, la realtà urbana delle nostre città d’arte consegnate al degrado estero e interno, in cui potrebbe riuscire a vivere soltanto chi è assolutamente privo di ogni tipo di sensibilità estetica.
“Rumore di trolley strascinati. Un locale acchiappa citrulli da vetri oscurati per scommesse sportive e slot machine, col suo invitante cartello ‘Vietato l’ingresso ai minori di diciotto anni’. Musica araba da una radiolina, che ti trapana il cranio. Massaggiatrici cinesi nascoste come topi in bugigattoli lerci, pronte a ogni tipo di traffico carnale. Una macelleria halal, con informi pezzi di carne rossa in vetrina, su cui vagano lente due mosche.”
Con l’aggiunta di una dosata tensione, Giuseppe Benassi ci accompagna in una lettura che ci fa comprendere quanta ipocrisia possa annidarsi nella vita sociale del nostro tempo e che spesso l’unica salvezza, l’unica via di fuga sia proprio la fuga.