Trentatré poesie in tre sezioni da undici componimenti cadauna. Tre quartine e un verso in coda, isolato, solitario e definitivo, che apre oppure chiude, come un addio. Iperborea dà alle stampe Addio, l’ultima piccola silloge del poeta e romanziere olandese Cees Nooteboom.
“Quanti enigmi si possono sopportare? / L’amico morto senza poter più parlare, / l’altro amico che sull’ultimo letto / tracciava con le mani un cerchio, / e voleva dire viaggio.”
Poesia al tempo del virus è quella di Nooteboom, composta in questo periodo straordinario in cui siamo ancora tutti invischiati.
“Foglie morte, il terreno umido e nero” e “Un paradiso al contrario, brulicante / di mostri che ci assomigliano”. Immagini spettrali, parole cupe, fruscii gelidi, deliri dalla soglia del regno dell’ombra, dell’uomo che lentamente diventa nessuno.
Augurando ogni bene all’autore, quello di Cees Nooteboom, classe ’33, tradotto in oltre trenta lingue nel mondo e varie volte in lizza per il Nobel per la Letteratura, è un lavoro che sembra prendere le fattezze del commiato, del “termine della notte”, del testamento artistico, nonostante lo scrittore, come specifica Andrea Bajani nel commento in chiusura del volume, non abbia deciso di scrivere queste poesie per congedarsi.
“Tante strade / ho percorso, sempre in cerca di qualcosa / che doveva trovarsi più lontano, che quando / infine scorgevo svaniva come un miraggio / o appariva come poesia.”
Una poesia, che sia chiaro, non di addio.