Il libro, edito da Persiani, è suddiviso in quattro capitoli che portano il nome di quattro icone Grunge:
Chris Cornell, frontman dei gruppi musicali Soundgarden e Audioslave, dipendente dai farmaci e da questi guidato al suicidio;
Kurt Cobain, celebre frontman del gruppo musicale Nirvana, assetato di vita, non quanto di scolpire il suo nome nella storia;
Layne Staley, frontman degli Alice in Chains e dei Mad Season, divorato dai suoi vizi e dalla sua solitudine che provava a combattere con massicce dosi di stupefacenti.
Tre nomi, accomunati dal tragico epilogo della vita, l’ultima strofa di un brano urlato, dal ritmo infernale e che improvvisamente si spegne, a cui si aggiunge Eddie Vedder, cantante del gruppo musicale grunge/alternative rock Pearl Jam, nonché una delle icone del movimento culturale grunge, unico sopravvissuto a quella epoca.
Attraverso un epistolario con Eddie Vedder, viene descritta una epoca, breve e folgorante, con le parole di un anonimo protagonista che decide di staccarsi dal suo mondo, dalle sue abitudini borghesi per ritrovare se stesso e scrivere il romanzo della sua vita. L’anonimo personaggio percorre un viaggio onirico e parla ai suoi idoli scomparsi:
Penso che il sogno sia finito e sono convinto di svegliarmi. Mi ritrovo nella stanza, sdraiato sul letto. C’è la luce di una fiamma vicino al muro di fronte, sono sparite le finestre e anche lo scrittoio. Ci sono due persone sedute vicine. Guardo meglio e credo di riconoscere Layne Staley e Jerry Cantrell, ancora loro.
Un lungo cammino nel bosco della musica grunge – un labirinto o un sentiero felice –, una amara riflessione sull’esistenza, sull’inevitabile abisso che conduce alla morte.
Con We were Grunge, Alessandro Bruni dà voce a una storia di musica oggi annebbiata.